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Capire e contrastare la violenza domestica – intervista alla Dott.ssa Sara Strufaldi

La Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla Eliminazione della Violenza Contro le Donne del 1993 definisce la violenza contro le donne come “qualunque atto di violenza in base al sesso, o la minaccia di tali atti, che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali, o psicologiche, coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata delle donne.”

di Sofia Porcino – Ogni giorno ci troviamo di fronte a notizie che riguardano casi di violenza domestica, che spesso sfociano in efferati femminicidi.

I dati degli ultimi anni sono preoccupanti. Nel 2012 i casi di femminicidio sono stati 157, nel 2013 sono saliti a 179 e nel 2014 non sono calati (fonte ansa).

I fattori scatenanti sono notoriamente legati al potere e al controllo dell’altra persona, alla gelosia ossessiva, al possesso.

Si tratta dunque di movente passionale quello che arma la mano di colui che dovrebbe amare. Ma le ragioni non sono così semplici da catalogare, sono infatti svariate e sono il frutto di fattori combinati tra loro che rendono ogni caso un caso a sé.

Per cercare di andare a fondo a questa piaga sociale affrontiamo la questione con la Dottoressa Sara Strufaldi, laureata in Psicologia criminale e investigativa all’Università degli Studi di Torino, con master di secondo livello in Psichiatria, Psicopatologia forense e criminologia. Ha avuto inoltre esperienze lavorative presso alcuni centri di ascolto della Regione Toscana.

 

L’intervista…

1- Le forme di violenza sulle donne sono molteplici, stupri, stalking sul lavoro, violenza sessuale o psicologica, ma quella in famiglia è probabilmente la più difficile da comprendere, quali ragioni la fanno scattare proprio all’interno del nucleo protettivo e rassicurante per eccellenza?

Secondo un approccio sistemico la famiglia è vista come il principale sistema vivente di riferimento nell’esperienza emotiva di una persona; è il primo contesto di esperienze all’interno del quale si formano le strutture cognitive ed emotive dell’individuo.

Le singole azioni di ogni componente della famiglia assumono una funzione precisa per il funzionamento relazionale del gruppo di persone che ne fanno parte.

La famiglia è dunque un sistema dinamico in cui i vari componenti interagiscono tra loro, comunicano e si influenzano a vicenda.

La violenza domestica è sintomo del fallimento della comunicazione e dell’interazione tra tali componenti.

Essendo quindi il sistema vivente di riferimento principale dell’essere umano la famiglia è “a portata di mano”, è il luogo dove è più facile esercitare il proprio potere e controllo, a causa del rapporto affettivo, della confidenza e della prossimità fisica.

2- Quali sono le ragioni che spingono un uomo ad essere violento nei confronti della propria compagna? Essendo un fenomeno che attraversa trasversalmente ogni classe sociale e cultura le ragioni dei gesti violenti sono da ricercare esclusivamente nella psiche della persona o anche in fattori esterni come l’educazione, la cultura, le ragioni economiche?

Non esiste un profilo psicologico criminale preciso del maltrattante. La violenza domestica non è sempre dovuta ad una patologia o disturbo mentale, il ricondurla troppo spesso a tali ragioni può distogliere l’attenzione dal problema della violenza.

Ci sono vari fattori e ambiti che la attivano, l’OMS propone il modello ecologico, un modello che considera la violenza come un comportamento influenzato da plurimi livelli: individuale, relazionale, comunitario, sociale.

Livelli che interagiscono tra loro e che portano ad una manifestazione della violenza domestica particolare; ogni caso è a sé, è scatenato e perpetrato secondo modalità e fattori a sé stanti e tipici di quello e non altro rapporto.

Resta basilare e comune a tutti i casi il concetto di fallimento della comunicazione e dell’iterazione tra i componenti famigliari.

 

 Fattori che favoriscono la violenza domestica

Culturali:

Socializzazione separata per sessi
Definizioni culturali dei ruoli sessuali appropriati
Attribuzione di ruoli nella relazione
Idea della inerente superiorità dei maschi
Sistema di valori che conferisce agli uomini il diritto di proprietà su donne e bambine
Concezione della famiglia come sfera privata assoggettata al controllo dell’uomo,tradizioni matrimoniali (prezzo per la moglie, dote)
Ammissibilità della violenza come modalità di risoluzione dei conflitti

Economici:

Dipendenza economica delle donne dagli uomini
Restrizioni di accesso al denaro o al credito

Leggi discriminatorie per l’eredità, il diritto della proprietà, l’uso delle terre comuni e il mantenimento in seguito a divorzio o a vedovanza
Restrizioni di accesso all’occupazione sia nel settore formale che in quello informale
Restrizioni di accesso per le donne all’istruzione e alla formazione

Giuridici:

Stato giuridico inferiore delle donne, secondo la legge scritta oppure quella consuetudinaria

Leggi sul divorzio, affidamento dei figli, conservazione o eredità di patrimoni

Definizioni legali dello stupro e dei maltrattamenti domestici
Basso tasso di alfabetizzazione legale tra le donne
Brutalità del trattamento di donne e bambine da parte della polizia e della magistratura

Politici

Sottorappresentanza delle donne al potere, nella politica, nei mezzi di informazione e nelle professioni mediche e giuridiche

La violenza domestica non viene presa sul serio
Concezione della famiglia come dimensione privata al fuori del controllo dello

Stato
Rischio di mettere in discussione lo status quo oppure le leggi religiose

Scarso livello di organizzazione delle donne in quanto forza politica
Scarsa partecipazione delle donne nei sistemi politici organizzati

(Fonte: Heise, 1994)

Innocenti Digest num. 6 – Giugno 2000 Unicef, “La violenza domestica contro le donne e le bambine” Centro di ricerca innocenti. Firenze, Italia. Pag. 7 di 30

 

 

 

 

3-  Quali invece le ragioni che tengono legata una donna ad un compagno violento? Spesso nemmeno l’amore per i figli, spettatori o vittime della stessa violenza, riesce ad allontanarle dai continui maltrattamenti, perché?

 

La risposta non è semplice, ma si può trovare una spiegazione al mantenersi accanto ad un uomo violento nella teoria del ciclo della violenza. Il ciclo dell’abuso è una teoria criminologica sviluppata negli anni ’70 da Lenore Walker per indicare modelli di comportamento che si verificano in un relazione abusiva. Il ciclo dell’abuso segue una progressione ben precisa e si protrae finché il conflitto non si estingue; solitamente quando la vittima abbandona la relazione. Tale ciclo può reiterarsi centinaia e centinaia di volte dando vita ad altrettanti atti di violenza durante la relazione, può riattivarsi nel giro di anni, giorni, ore.

La durata dei momenti sereni diminuisce nel corso del tempo tanto da rendere impercettibile la fase di latenza.

Le ragioni psicologiche che legano al maltrattante risiedono in quella che è la quarta fase, chiamata “luna di miele”; è la speranza che il maltrattante cambi atteggiamento che rimanda la decisione risolutiva di togliersi da una situazione pericolosa. La speranza riposta nell’altro e non in sé stessa.Cycle_of_Abuse

Ci sono inoltre ragioni economiche che tengono legata una donna. Ragioni culturali o pressioni esterne che cercano di “salvare” un matrimonio, la facciata rispetto alla persona.

 

I figli. I figli sono le altre grandi vittime della violenza domestica. Per un bambino assistere alle violenze esercitate sulla propria madre ha lo stesso effetto che ha sulla madre subirle di persona. i figli sono dunque esposti agli stessi effetti, catastrofici, ai quali è esposta la madre. Vittime poi una seconda volta se si considera che una donna che subisce violenza impiega tutte le proprie energie e risorse nel cercare di prevedere e dunque evitare l’attacco del compagno o marito, stremate, lasciano i figli senza le proprie cure e attenzioni.

 

 

4- Si è sempre affrontato il problema dal punto di vista femminile, centri di ascolto, accoglienza e antiviolenza; da pochi anni sono sorti centri per uomini maltrattanti, dal punto di vista specialistico è utile questo approccio maschile? In che modo prendere in esame gli uomini maltrattanti può aiutare a contrastare questo fenomeno?

 

Come approccio è positivo anche se difficile da portare avanti, nel senso che è difficile che un uomo maltrattante ammetta di avere un problema e vada a chiedere aiuto. Quando ciò si verifica è senza dubbio importante il cammino che intraprenderà insieme agli operatori dei centri di ascolto.

 

 

 

5- Quanto è breve il passo dalla violenza domestica al femminicidio?

 

In realtà esso non è breveassolutamente. Prima di arrivare all’uccisione della compagna o moglie ci sono dei segnali che sarebbero ben riconoscibili se le donne fossero “addestrate” a riconoscerli. Sono segnali presenti anche in periodi in cui la violenza non è palese o reiterata.

Primo evidente segnale di pericolo è che alivello temporale i momenti di serenità all’interno della coppia diventano sempre più rari e brevi. Inoltre a livello di intensità le modalità della violenza potrebbero aggravarsi.

 

L’OMS propone un elenco di indici di pericolo:

1- percezione soggettiva della donna di esser in pericolo

2- gelosia ossessiva e possessiva

3- presenza di armi

4- precedenti atti di violenza

5- escalation di violenza negli ultimi periodi

6- episodi particolarmente gravi o crudeli

7- abuso di animali domestici

8- precedenti penali

9- uso di alcol o sostanze stupefacenti (nel maltrattante o nella vittima)

10- comportamenti violenti anche al di fuori dell’ambiente domestico.

 

Non esistono prove scientifiche sufficientemente esaustive per affermare che esista una sorta di “raptus” che esplode senza aver dato segnali in precedenza. Sarebbe come affermare che un persona che non ha mai manifestato segni di alcun tipo, né patologie biologiche, possa in qualunque momento della vita commettere un crimine efferato. In realtà non è così, i segnali ci sono, non vanno ignorati e bisogna insegnare alle donne, fin da bambine, a non ignorarli, a non minimizzare determinati atti e a chiamarli con il proprio nome, abbandonando ogni tipo di eufemismo. La violenza è violenza e solo chiamandola con il proprio nome può essere riconosciuta in tempo.

 

 

 

6- Quali strategie educative per evitare che i piccoli di oggi si trasformino negli uomini maltrattanti di domani e che le piccole siano in grado di allontanarsi da situazioni famigliari pericolose e violente.

 

Ai bambini è importante insegnare il rispetto per il genere femminile e la parità di diritti e doveri. Far assimilare la comunicazione come principale e unico metodo di interazione.

Alle bambine è necessario far capire che hanno gli stessi doveri e diritti dei maschi e che la propria individualità e indipendenza ha lo stesso valore pratico e morale di quella maschile.

Educare inoltre all’illegittimità della violenza in qualunque tipo di relazione, in quanto la violenza è il fallimento della comunicazione.

 

 

 

7 – Quali passi si devono compiere per aiutare chi è vittima della violenza domestica, anche alla luce della tua esperienza presso centri antiviolenza? Cosa manca, se manca, al sistema per evitare tante vittime?

 

I centri di ascolto già fanno molto, i problemi sono legati ai fondi. I progetti e le organizzazioni che ruotano intorno al tema della violenza domestica sono ben organizzati da psicologi, assistenti sociali, operatori sul campo e volontari. Per il futuro è senza ombra di dubbio l’educazione quella che può cambiare le cose. Per il presente sarebbe utile un ruolo più decisivo da parte delle amministrazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 


Le parole della dottoressa Sara Strufaldi fanno realizzare considerazioni importanti sui messaggi che la società invia alle donne, fin da piccole. Anche dal mondo delle fiabe, ad esempio, giungono messaggi sbagliati rispetto al ruolo della donna, alla sua identità, alla suo posto nel mondo. Le fiabe, rivolte alle menti-spugne delle bambine che ascoltano o guardano con attenzione e si identificano nel ruolo della protagonista, spesso una principessa, che è tale per un bacio, è principessa dal momento in cui il famigerato Principe Azzurro la fa diventare tale. Il ruolo della protagonista femminile è quasi sempre un ruolo passivo, un ruolo fatto di attese e di una svolta tanto attesa che avviene soltanto nel momento dell’incontro con il personaggio maschile. Il messaggio che passa è pericoloso: le donne aspettano l’uomo per diventare qualcuno o per essere salvate da una situazione che non piace.

Educare è l’unica via possibile per cambiare il futuro. Educare le bambine a sentirsi qualcuno nel mondo non attraverso gli altri, non attraverso l’uomo, non attraverso l’amore idealizzato, ma attraverso se stesse e le proprie risorse interne. Ecco che così si stronca sul nascere un possibile legame fatale che, in nome dell’amore, le tiene legate ad un uomo che nella loro mente è colui che le rende “qualcuno” nel mondo. Pensare all’amore e dunque all’amato come colui che fonda la propria identità rende difficile l’abbandono dello stesso, nonostante le violenze che esercita.

Educare i bambini a non considerare la violenza come mezzo per ottenere e raggiungere gli obiettivi. Che l’amore e la presenza della compagna arrivano e si mantengono attraverso il dialogo e il rispetto per l’individualità altrui.

L’indipendenza, sia economica che psicologica, e la ricerca di se stesse all’interno della propria persona sono le efficaci armi contro il rischio di trovarsi strette nella morsa del ciclo della violenza.